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01-07-2011

Pirateria

Pirateria marittima: l’Italia raddoppia il suo impegno nella lotta ai pirati somali

LiberoReporter - L'impegno italiano nella prevenzione e contrasto del fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia è iniziato nel 2005, con la partecipazione del pattugliatore Granatiere all’operazione ‘Mare Sicuro’, ed è continuato negli anni fino ad oggi con la partecipazione alle diverse missioni internazionali.

In questi giorni l’Italia ha raddoppiato l’impegno della Marina Militare nelle attività antipirateria marittima al largo della Somalia in collaborazione con le altre forze navali multinazionali. Dopo che, nel marzo scorso, era stata inviata, subentrando alla Fregata Zeffiro, la Fregata ‘Espero’ per partecipare alla missione Atalanta. L'operazione di contrasto alla pirateria marittima nell'Oceano Indiano a guida dell'Unione Europea. In questi giorni nel ‘mare dei pirati’ è stato inviato anche il Cacciatorpediniere lanciamissile ‘Andrea Doria’. La nave parteciperà all’operazione ‘Ocean Shield’. Si tratta di una missione di monitoraggio delle acque del Corno D'Africa condotta dallo Standing Naval Maritime Group 1, SNMG1, della NATO. La missione NATO è in atto dall’ottobre del 2008 quando era condotta dall’SNMG2 e si chiamava ‘Allied Protector’. Nell’agosto del 2009 l’SNMG1 è succeduto all’SNMG2. Di questo gruppo l’unità navale della Marina Militare italiana sarà, per i prossimi sei mesi, la nave comando. Per cui la nave sarà la sede del comando che coordinerà l'attività di tutte le navi degli altri paesi membri del gruppo. A bordo della A. Doria infatti, è imbarcato il Contrammiraglio Gualtiero Mattesi che ha assunto il Comando dello SNMG1. Prima di Mattesi un altro italiano ha comandato il gruppo navale NATO nell’Oceano Indiano. Si tratta del contrammiraglio Giovanni Gumiero che assunse il comando dell’SNMG 2 proprio nel 2008 a bordo della nave comando, il cacciatorpediniere Luigi Durant De la Penne. Successivamente nel dicembre 2009 il contrammiraglio Gumiero è stato anche chiamato a comandare la missione antipirateria europea ‘Atalanta’a bordo della nave Etna. Queste missioni hanno lo scopo di contribuire alla lotta ai pirati somali che minacciano la navigazione marittima al largo del Corno d'Africa e aumentare la sicurezza delle rotte marittime commerciali e per la navigazione internazionale nell'area. Da anni nel mare del Corno D’Africa e Oceano Indiano, per il perdurare della criticità della situazione generata dal fenomeno della pirateria marittima, operano, in missioni di contrasto, navi da guerra di diversi Paesi. Unità navali che operano nell’ambito di missioni internazionali dell’Ue, della NATO e della coalizione multinazionale Ctf-151 a guida americana, o individualmente. L’Italia è uno dei Paesi che ha messo a disposizione della comunità internazionale le sue navi da guerra. La sua è una partecipazione doppia in quanto contribuisce sia alla missione anti pirateria della NATO sia a quella dell’Unione Euorpea, alternativamente. Nonostante questo imponente dispiegamento di navi da guerra delle marine di diversi Paesi i dati sulla pirateria nella regione sono purtroppo allarmanti. L'impegno italiano nella prevenzione e contrasto del fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia è iniziato nel 2005, con la partecipazione del pattugliatore Granatiere all’operazione ‘Mare Sicuro’, ed è continuato negli anni fino ad oggi con la partecipazione alle diverse missioni internazionali. Missioni che hanno visto la partecipazione di navi come: il cacciatorpediniere Luigi Durant De la Penne, la Fregata Libeccio, la Fregata Scirocco, la Fregata Zeffiro, la Fregata Espero, il Pattugliatore Bersagliere, la nave Etna, fino a giungere al cacciatorpediniere Andrea Doria. Questa volta la nave italiana è una nave che fa parte della classe Orizzonte e che ha elevate capacità di difesa aerea ed è dotata di strutture in grado di imbarcare un comando complesso capace di operare in contesti multinazionali come lo è la lotta alla pirateria marittima. La A. Doria è una macchina davvero perfetta e completa. Del resto aver assunto il comando dello SNMG1 implica per l’Italia un impegno di qualità. Un impegno però, anche criticato da più parti in quanto lo si ritiene sproporzionato per dare la caccia ai veloci barchini dei pirati che a volte le grosse navi da guerra non riescono a stare dietro. Una polemica che è da sempre viva e che vorrebbe invece, un impiego meno ‘pesante’ da parte dell’Italia e non solo. Come il ricorso ai soli pattugliatori, progettati e costruiti proprio per monitorare, mentre le grosse navi da guerra non lo sono e impiegarle costa molto di più. Comunque sia la nave da guerra italiana arriva nel ‘mare dei pirati’ in un momento in cui le trattative per il rilascio di due navi italiane catturate da mesi dai pirati somali, la ‘Savina Caylyn’ e la’ Rosalia D’Amato’ e dei loro membri dell'equipaggio, tra cui 11 italiani, sono apparentemente in stallo. Un silenzio preoccupante ha avvolto i due sequestri anche se la Farnesina ribadisce che si sta lavorando con le dovute cautele per risolverli. Da sempre il Ministero degli Esteri italiano, Franco Frattini ha dichiarato di aver scelto la via diplomatica per risolvere i sequestri di navi italiane messi in atto dei pirati somali. Dopo tre anni di missioni navali antipirateria con risultati irrilevanti, ma con costi non trascurabili, che vanno a gravare sul bilancio dello stato, ancora non è chiaro perché si insiste nell’adottare questa via per contrastare i pirati somali. Il costo del mantenimento delle varie missioni navali internazionali anti pirateria nel mare dei pirati è altissimo. La stima fatta è di circa 100mila dollari al giorno per nave militare ripartiti tra costi carburante, viveri e indennità degli equipaggi. La sola missione Ue Atalanta ha un costo di circa 2 milioni di euro al giorno pari a 720milioni all’anno. Da sola l’Italia spende, per circa tre mesi di missione di un’unità navale della sua Marina Militare, circa 9 milioni di euro. Facendo un po’ di conteggi ci si rende conto che alla fine per evitare che i pirati somali guadagnino qualche centinaio di milioni di dollari l’anno dai riscatti, la comunità internazionale spende quasi 5 miliardi di dollari l’anno. Senza poi, nemmeno riuscire ad impedire loro di guadagnarli questi mln di dollari.


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